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Il baratto di Venere: il paradosso dell’amore e della punizione..

Immagine del redattore: Carla BabudriCarla Babudri

Ripropongo un articolo di qualche anno fa, nato mentre studiavo medicina legale per un esame, non so come mi sia venuta l’ispirazione, ma eccolo qui… e quale giorno migliore di San Valentino per parlarne?

Per celebrare la ricorrenza dell’amore, ho scelto di scrivere un articolo lontano dai soliti cliché...



Qualche giorno fa, in una lezione di medicina legale, mi sono imbattuta in un argomento interessante che vedeva coinvolta la sifilide, le donne e la sessualità.

Al tempo della comparsa della sifilide venne dato spazio, non solo alla questione prettamente medica, ma anche l’arte, la filosofia e la poesia si occuparono di questo morbo e la cosa mi ha talmente intrigata e affascinata da andare avanti con le ricerche in autonomia.

Le branchie della malattia etichettata venerea è diventata anche un lamento, entrando a far parte della poesia epica e satirica decantando il male del sesso.


Perché la malattia come la sifilide o morbo gallico ha così scosso le menti di poeti, artisti e letterati?


Innanzitutto cerchiamo di capire le sue origini. Si presume che la malattia sia entrata in Europa nel 1494 durante la campagna militare di Carlo VIII; infatti il morbo venereo si manifestò in una forma virulenta acuta, letta come malattia dell’invasore da cui il nome mal francese, come giusta punizione divina inferta agli stati italiani, visto che le conquiste di Carlo VIII avevano creato un’aurea di provvidenziale miracolo.

Tutto questo aveva sconvolto la penisola, mostrando una flagrante debolezza.

Il termine “sifilide” fu introdotto da Girolamo Fracastoro, poeta e medico veronese. La sua opera “Syphilis sive Morbus Gallicus” del 1530, comprende tre libri e presenta un personaggio, l’amato Sifilo, che era un pastore che guidava le greggi del re Alcihtous, un personaggio della mitologia greca.


Nel racconto di Fracastoro, Sifilo, arrabbiato con Apollo per aver bruciato gli alberi e aver consumato le sorgenti che alimentavano le greggi dei pastori, fece voto di non venerare più Apollo, ma bensì il suo Re. Apollo si offese e maledisse le persone con una malattia chiamata sifilide, dal nome del pastore.


L'afflizione si diffuse a tutta la popolazione, compreso il re Alcithous.

La ninfa Ammerice consigliò agli abitanti di offrire ulteriori sacrifici, compreso lo stesso Sifilo, ad Apollo e di fare sacrifici anche per Giunone e a Tellus, in modo tale che potessero ottenere l'albero del Guaiaco (Guaiacum officinale), una medicina terapeutica molto usata ai tempi di Fracastoro.*



Il baratto di Venere: il paradosso dell’amore e della punizione..
Frontespizio del celebre libro Della sifilide, ovvero del morbo gallico di Girolamo Fracastoro.

Non fu semplice individuare la malattia e registrare i processi dell’infezione, in quanto il periodo di incubazione era molto lungo e la comparsa del sifiloma primario sulle zone genitali, veniva spesso confuso come sintomo di altre malattie della pelle, a questo poi si aggiungeva il sentimento di vergogna, che accompagnava il malato, costretto a nascondere le prove del contagio e a servirsi delle cure di ciarlatani.

Il pericolo di mortalità era assai basso rispetto alla lebbra e alla peste, ciò nonostante divenne una malattia che causava molta sofferenza con il risvolto di stigmate sociale.

La sifilide influenzò inevitabilmente la vita sessuale, l’amore e i ceti sociali tanto che i soggetti colpiti erano pronti, nei casi più disperati, anche a togliersi la vita. I malati si infliggevano auto castighi, molti erano così sconfortati dalla pericolosità della malattia tanto da accrescere gli appetiti sessuali inducendo persino i religiosi alla lussuria e al peccato.


Da questo punto si apre il palcoscenico del paradosso dell’elogio del “Glorioso Mal” nella letteratura burlesca di Giovan Francesco Grazzini, in cui figura una lode al membro maschile virile come risposta burlesca dell’evirazione dovuta al contagio venereo, così come le componenti paradossali che lodano la condizione dell’uomo glabro sull’orlo della follia a causa delle terapia a base di mercurio.


Secondo la visione burlesca di Petrarca, affetto lui stesso dalla sifilide, in un curioso testo avrebbe a più riprese rimarcato la sua privilegiata condizione di «pelato», grazie alla quale era divenuto simile in grazia alla sua amata Laura.

Le modalità di somministrazione del mercurio erano varie, per la sifilide si utilizzavano unguenti per le frizioni cutanee, ma anche fumigazioni a base di cinabro che diedero vita alle botti di Modica, recipienti in legno, dove il malato era rinchiuso per godere degli effetti dei fumi del composto del metallo.

Abbiamo testimonianza di corpi devastati dalle terapie mercuriali, dalla perdita di denti, disturbi urinari e gastrointestinali, perdita di appetito e peso e di operazioni chirurgiche eseguite malamente. Una persona colpita da sifilide la si riconosceva dai tratti grotteschi.


Nel 510 incominciò ad affermarsi un rimedio alternativo al mercurio, il cosiddetto Legno Santo o Legno delle Antille o Guaiaco, che comunque non sostituì il mercurio.

Varie sono state le scoperte per sconfiggere il male della sifilide, ma solo dopo la scoperta della penicillina nel 1928 da Alexander Fleming, divenne il principale trattamento della malattia.


Il baratto di Venere: il paradosso dell’amore e della punizione..
Terapia a base di mercurio: inalazione di vapori, pozioni e bagni.

Esiste una sottotraccia nei poemi erotici che individua nella superbia l’antica metafora dell’erezione, addomesticata dal morbo che rende l’uomo mansueto e sottomesso, o al contrario può rinvigorire lo stesso membro arricchendo la pratica eterosessuale.


Come in altri poemi burleschi, filosofi e poeti allargarono l’orizzonte dell’elogio all’universo delle cose ignobili.

Il morbo induceva alla lussuria e al desiderio di praticare la sodomia passiva, mentre la gola diventava il desiderio compulsivo per ogni tipo di cibo e di inclinazione erotica.

Ecco che in questo scenario burlesco fece ingresso la donna che non fu immune all’invettiva misogina, paradossalmente sia teologi che cardinali attribuirono al sesso femminile l’elencazione comica delle virtù teologali, riferendosi alle cortigiane, come causa primaria in quanto vettore dei contagi.

Ecco che le cortigiane vengono marchiate dall'ignominia e dall'ingiustizia sociale e in ambito medico scientifico il continuo rinnovo interesse del corpo femminile apriva nuovi discorsi anatomici sull'ambiguità nei riguardi della donna.

Il corpo della donna veniva classificato come bifronte, quindi l’utero rappresentava la vita, ma al suo contrario anche la malattia, ecco conciliare il binomio millenario che univa Eros a Thantos, per il quale anche l’aggettivo “venereo” rivelava la sua doppia natura simbolica. Ecco comparire l'aggettivo venereo in relazione alla sifilide.


Il bifrontismo della natura femminile si palesa allora non solo sul piano morale ma anche su quello fisico e religioso, perfino lì dove si dovrebbe originare la vita. La rabbia contro la donna, dovuta all’insuccesso amoroso, prende infatti le proporzioni di un’invettiva che ingloba l’intera persona e che attraverso la descrizione del corpo porta alla graduale decostruzione dell’ideale di bellezza e sanità femminile.


Il baratto di Venere: il paradosso dell’amore e della punizione..
Marriage Sifilide Tête à Tête - William_Hogarth

Altre curiosità arrivano dal mondo magico, come non scrivere di preparati e incanti sotto la Luna...


Oltre ai trattamenti ufficiali, il morbo gallico si insinuò anche nelle pieghe della superstizione e della magia, dove la paura e la ricerca disperata di una cura portarono a rimedi esoterici e rituali di purificazione.


Si diceva che alcune erbe avessero il potere di scacciare il male dal corpo, tipo l’iperico, chiamato anche erba di San Giovanni, veniva bruciato nelle stanze dei malati per purificare l’aria, mentre l’assenzio era somministrato in decotti per “disintossicare” il sangue. I guaritori più arditi consigliavano impacchi di argilla mescolata a ruta e incenso, credendo che potessero assorbire la malattia dalla pelle e restituire al malato la sua purezza originaria.


L’alchimia cercava anch’essa la sua risposta, alcuni ritenevano che metalli sacri come l’oro e l’argento, se combinati con erbe protettive, potessero dare vita a un elisir capace di spezzare la maledizione. Nel frattempo, amuleti di corallo rosso, strettamente legato a Venere, venivano portati al collo come talismani protettivi, mentre in alcuni villaggi si tramandava la credenza che immergersi nelle acque di sorgenti sacre avrebbe potuto lavare via il peccato e il morbo insieme.

Il baratto di Venere: il paradosso dell’amore e della punizione..
Rembrandt, Parable of the Rich Fool, 1627, Gemaldegalerie, Berlin

C’era chi tentava di ingannare la malattia con la magia simpatetica, si prendeva un’effigie del malato, un piccolo simulacro di cera o di stoffa, e lo si bruciava su un fuoco consacrato, sperando che la sifilide venisse consumata dalle fiamme anziché dalla carne.


E poi c’era la Luna, che con il suo ciclo dominava i riti di guarigione. La sifilide, come tutti i mali nascosti, sembrava rispondere alle fasi lunari, e così si attendeva la luna calante per eseguire cerimonie di purificazione. Alcune donne, custodi di antiche conoscenze, bruciavano erbe sacre sotto la luce lunare, intonando preghiere a divinità guaritrici come Esculapio o alla Vergine Maria, mentre il fumo si alzava come un ultimo, disperato scongiuro contro l’ineluttabilità della malattia.


Tra paura e speranza, scienza e superstizione, il morbo gallico divenne non solo un flagello del corpo, ma anche un enigma dell’anima, una prova da superare, un’ombra che si insinuava tra il desiderio e il castigo.


Una piccola considerazione personale…


Ho scelto di parlare di Sifilide nel giorno dell’amore, perché pur riconoscendo la malattia devastante, l’amore e la sessualità restano un viaggio indissolubile verso la sovranità umana, pronta sempre a scontrarsi con i più volenterosi.


Quando si evocano passaggi interiori che richiamano il desiderio e la passione, ecco che i mondi si dilaniano sconvolgendo interi universi di realtà, in tanti hanno provato a identificare la sessualità, compresa la chiesa, come blasfema e peccato, ma questo racconto vuole semplicemente aprire gli occhi a guardare se stessi e i propri desideri come centro di potere, come radice nutritiva delle nostre vite.


Amanti deturpati o puniti per le loro voglie, incolpati, accusati e attaccati per una ricerca libera del desiderio d’amore.


In conclusione, cosa pensi quando una malattia e una ingiustizia si uniscono?

Cosa fai quando sai che ciascuno di questi imperativi, se rispettato renderà l’altro più letale?


In questo incrocio tra fragilità e sogni, la sifilide allora e come nuove realtà adesso, voleva distruggere o intrecciare dentro di noi nuove realtà e visioni?


Carla Babudri



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Il baratto di Venere: il paradosso dell’amore e della punizione.




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*Conosci le immagini e non sono nominate all'interno del mio sito o il manca il nome dell'artista?

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Mi astengo da qualsiasi responsabilità per le immagini o foto in cui non viene menzionato l'artista, prelievo tutto da internet e qualora fosse indicato il nome dell'autore è mia premura nominarlo, SEMPRE!

Grazie Carla



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